La stampa 3D propone agli ingegneri una serie di strumenti vantaggiosi dal punto di vista economico per fabbricare rapidamente prototipi e parti o componenti destinati all’utilizzo finale, anche con geometrie molto complesse. Grazie a una vasta gamma di tecnologie diverse infatti, la stampa 3D consente di produrre parti in plastica e metallo con una potenziale riduzione dei costi e dei tempi di consegna. In questa guida vengono illustrate le nozioni di base della stampa 3D, esaminando le tecnologie, i materiali e le applicazioni principali.
La stampa 3D è una tecnologia di manifattura che consente di realizzare parti tridimensionali a partire da modelli 3D digitali. Si tratta di una tecnologia che comprende molti processi diversi, con materiali e applicazioni specifiche. Tuttavia, tutte questi sistemi di stampa hanno una caratteristica comune: la costruzione di parti strato (o layer) su strato seguendo le istruzioni impartite da un computer.
L’invenzione della prima tecnologia di stampa 3D risale ai primi anni ‘80. Tra il 1981 e il 1984 sono stati depositati infatti tre brevetti distinti per tecnologie che impiegavano la luce UV per polimerizzare le resine fotosensibili. L’ultimo di questi è stato depositato da Chuck Hull, che ha coniato il termine “stereolitografia” e che avrebbe poi fondato 3D Systems, oggi uno dei leader del mercato. Alla fine degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90 sono venute poi alla luce altre tecnologie di stampa 3D.
1987
1992
1994
La stampa 3D ha vissuto un boom di attività anche tra i consumatori negli anni 2000 e nei primi anni 2010, quando sono scaduti importanti brevetti che hanno permesso a nuove aziende di produrre le proprie stampanti 3D a basso costo. In seguito, il mercato si è orientato maggiormente verso gli utenti industriali, che utilizzano le stampanti 3D per produrre parti di alto valore destinate all’uso finale.
Il termine “stampa 3D” viene talvolta utilizzato in modo intercambiabile con la dicitura “manifattura additiva”. Tuttavia c’è da puntualizzare che solitamente la stampa 3D si riferisce ad attività di livello consumer, mentre la produzione o manifattura additiva descrive applicazioni professionali e industriali, tipicamente su scala più ampia e con attrezzature più costose. Il termine “prototipazione rapida” invece, un tempo usato come altro sinonimo, sta diventando sempre meno comune perché le stampanti 3D sono ora in grado di produrre parti per uso finale vere e proprie, oltre che prototipi.
Le modalità di funzionamento della stampa 3D dipendono dal tipo di stampante, dal momento che le diverse tecnologie operano in modo distinto. Tuttavia, sebbene tali le tecnologie possano variare significativamente, tutte condividono alcune caratteristiche comuni. I principi di base della stampa 3D si riassumono come segue:
La stampa 3D inizia con l’elaborazione di un modello stampabile. Tale modello può essere realizzato con software CAD, con il 3D modeling, con la scansione 3D o con altri metodi. Il modello deve essere progettato così da poter essere riprodotto realisticamente con la tecnologia di stampa 3D, un processo noto come design for additive manufacturing (DfAM), e convertito in un formato file quali STL o AMF. Grazie a un software di “slicing”, il modello viene poi convertito nelle istruzioni per la macchina.
La produzione tramite la stampante 3D avviene, appunto, stampando una serie di strati bidimensionali che vengono fusi insieme per formare il pezzo completo. La modalità di creazione di questi strati dipende dalla tecnologia e dal materiale. Ad esempio, una stampante FDM estrude termoplastica fusa da un ugello, mentre una stampante DMLS utilizza un potente laser per sinterizzare selettivamente particelle di polvere metallica. In genere, la macchina si avvale di un sistema di motori per spostare in modo incrementale la piattaforma di costruzione o l’apparecchiatura di stampa tra i vari layer.
Una volta stampati tutti gli strati, il pezzo finito viene rimosso dalla stampante, manualmente o automaticamente, e può essere sottoposto a fasi di post-processing. Il post-processing può comprendere la rimozione del materiale in eccesso, la sinterizzazione del pezzo in un forno, l’aggiunta di finiture superficiali, ecc.
Le tecnologie di stampa 3D possono essere raggruppate in sei categorie principali, pur con qualche eccezione. La loro classificazione tuttavia può creare confusione, in quanto alcune tecnologie vengono chiamate con più di un nome e vi è un mix tra nomenclatura generica e nomenclatura proprietaria. In questa guida dunque, per una maggiore chiarezza, i nomi delle tecnologie proprietarie sono stati indicati con la lettera iniziale maiuscola.
Con il termine estrusione di materiale si fa riferimento a quei sistemi che fondono il materiale di partenza e lo passano attraverso un ugello. L’ugello è in grado di depositare ogni strato di materiale fuso in una forma bidimensionale complessa, mentre la testina di stampa si muove lungo gli assi X e Y grazie a un sistema di motori e binari. Una volta estruso, il materiale fuso si raffredda e si solidifica, consentendo di aggiungere altro materiale.
La principale tecnologia di estrusione del materiale è quella del Fused Deposition Modeling (FDM). Si tratta di un marchio registrato da Stratasys, quindi altre aziende possono usare il termine “fused filament fabrication (FFF)” per riferirsi allo stesso processo. Anche le stampanti 3D per grandi formati (LFAM) utilizzano generalmente la tecnologia dell’estrusione di materiale, impiegando pellet come materia prima anziché filamenti.
La maggior parte delle stampanti a estrusione di materiale prevede l’utilizzo di materiali termoplastici o di compositi termoplastici rinforzati. Tra quelli meno comuni vi sono i metalli e le ceramiche.
La fotopolimerizzazione in vasca (VAT photopolymerization) è la forma originaria di stampa 3D e rimane ancora oggi molto diffusa. Essa comprende diversi processi, tra cui la stereolitografia laser (SLA), o con luce proiettata (DLP), anche la versione che utilizza uno schermo LCD (LCD) o una “maschera”, detta masked SLA (mSLA). Tutti si avvalgono di una sorgente di luce per polimerizzare in modo selettivo strati di resina liquida fotopolimerizzabile.
Alcune stampanti a resina, note come sistemi “bottom-up”, stampano invece il pezzo a testa in giù, in sospensione dalla piattaforma di costruzione sopra il serbatoio della resina e la sorgente luminosa. In questo modo si può risparmiare denaro poiché è necessaria una minore quantità di resina ma si corre il rischio che il pezzo sospeso cada dalla piattaforma.
Il sistema CLIP (Continuous Liquid Interface Production) o DLS (Digital Light Synthesis) di Carbon – così come altri processi simili proposti da Stratasys, 3D Systems ed ETEC – è invece una variante più veloce della fotopolimerizzazione in vasca di tipo DLP.
Quella della fusione a letto di polvere (PBF) è un’ampia categoria di tecnologie di stampa 3D - per lo più destinate a utenti professionali o industriali avanzati - in cui i granuli di polvere vengono fusi su un letto di granuli utilizzando una fonte di calore. A seconda del tipo di tecnologia, i granuli possono essere sinterizzati o completamente fusi.
A differenza di altre tecnologie di stampa 3D, la fusione del letto di polvere comprende sia i processi di stampa del metallo che quelli della plastica. La sinterizzazione laser diretta dei metalli (DMLS), la fusione laser selettiva (SLM) di Nikon SLM Solutions e la fusione a fascio di elettroni (EBM) sono tutti processi utilizzati per realizzare parti di livello industriale a partire da polveri metalliche.
La sinterizzazione laser selettiva (SLS) e la Multi Jet Fusion (MJF) di HP sono invece impiegate per produrre pezzi da materiali come il nylon (poliammide). Un vantaggio delle stampanti SLS rispetto all’estrusione di materiale è che la polvere non sinterizzata sostiene il pezzo in lavorazione, rendendo superflua la necessità di strutture di supporto.
Il getto di materiale è una tecnologia di stampa 3D che assomiglia in qualche modo alla stampa a getto d’inchiostro 2D. Durante il processo infatti, le testine di stampa erogano gocce di materiale mediante un meccanismo termico o piezoelettrico. Il materiale si solidifica per raffreddamento o per polimerizzazione con luce UV.
I processi di getto di materiale includono la stampa drop-on-demand (DOD), la tecnologia PolyJet di Stratasys e il NanoParticle Jetting (NPJ) di XJet. Tra i materiali impiegati spiccano fotopolimeri, metalli, ceramiche tecniche e cera.
Il binder jetting è una tecnologia di stampa 3D unica nel suo genere, che si avvale di sistemi a getto d’inchiostro per depositare un legante adesivo su un letto di polvere, creando parti “verdi” dalla polvere senza ricorrere a una fonte di calore. Questa tecnologia è anche nota con la dicitura “stampa 3D a letto di polvere e testina a getto d’inchiostro”.
Sebbene il binder jetting diretto con sabbia non sia in grado di produrre parti particolarmente resistenti, è compatibile con una serie di metalli e ceramiche e consente di realizzare parti a colori, come ad esempio i modelli da esposizione. Il binder jetting di parti di ceramica tecnica o metallo, richiede la sinterizzazione del pezzo in una fornace oppure l’infiltrazione di materiali addizionali per ottenere pezzi resistenti per l’uso finale. Il Single Pass Jetting (SPJ) di Desktop Metal è una tipologia di binder jetting.
La deposizione diretta di energia (DED) è una tipologia di stampa 3D in cui un ugello montato su un braccio robotico deposita polvere o filo metallico su una piattaforma di costruzione, prima che un fascio laser o di elettroni fonda il materiale depositato. Si tratta di una tecnologia in grado di produrre parti grandi e resistenti.
Tra le varianti della DED si annoverano l’Electron Beam Additive Manufacturing (EBAM) di Sciaky e le tecniche di stampa 3D a filo metallico come la wire arc additive manufacturing (WAAM).
Una tipologia di stampa 3D meno conosciuta è la laminazione di fogli (SHL) o la produzione di oggetti laminati (manifattura di oggetti laminati, LOM), che sfrutta aspetti della manifattura sottrattiva. Le macchine SHL stampano infatti fogli in carta, plastica o metallo in forme 3D. La carta rappresenta una materia prima a basso costo per la stampa 3D.
Quali sono i materiali utilizzati nella stampa 3D? La risposta che diamo oggi a questa domanda è diversa da quella che avremmo dato negli anni ‘80. Attualmente, infatti, la stampa 3D supporta un’ampia gamma di materiali, dalle termoplastiche a basso costo, come l’ABS, alle leghe di titanio per uso aerospaziale. In questa sede ci concentriamo su quattro principali categorie di materiali.
I materiali più utilizzati sono i polimeri termoplastici. Si tratta di materie plastiche che possono essere fuse in uno stato malleabile, modellate con una tecnica come l’estrusione di materiale, quindi raffreddate e risolidificate fino a ottenere una parte utilizzabile. Le plastiche stampabili comprendono polimeri di base, polimeri tecnici e polimeri ad alte prestazioni.
I processi di estrusione di materiale, come l’FDM, prevedono l’uso di materiali termoplastici in forma di filamento (lunghe stringhe di materiale estruso avvolte attorno a una bobina). Le macchine di livello consumer invece possono stampare polimeri come PLA, ABS, PETG, TPU, PC e vari tipi di nylon. Alcuni produttori di filamenti producono anche miscele (di due o più termoplastici mescolati insieme) per ottenere un profilo di materiale bilanciato. Le stampanti a doppia estrusione sono progettate per stampare un materiale di supporto solubile o rimovibile, come PVA o HIPS, oltre al materiale di costruzione. Le macchine ad alta temperatura possono stampare materiali speciali come PEEK e PEI (Ultem).
Le stampanti SLS stampano in genere poliammidi (nylon) grazie alle loro proprietà di sinterizzazione. Infine, altre materie plastiche adatte alla sinterizzazione sono PP, PS ed elastomeri termoplastici come il TPU.
I processi di manifattura additiva a metallo sono in grado di elaborare una serie di materiali metallici. La maggior parte delle tecnologie prevede che il metallo sia in polvere, anche se alcune utilizzano fili o filamenti metallici. In alcuni casi le polveri vengono atomizzate con il gas per produrre particelle di dimensioni uniformi, migliorare la fluidità e creare parti stampate di qualità superiore.
Tra i metalli più comuni per la stampa 3D vi sono le polveri di titanio e nickel (Inconel) per applicazioni aerospaziali e biomediche, le leghe di alluminio per la stampa di uso generale, le polveri di rame per parti come scambiatori di calore e le superleghe per parti aerospaziali.
Le resine fotopolimeriche sono polimeri attivati dalla luce le cui proprietà cambiano quando vengono esposte ad essa. Queste resine contengono una miscela di monomeri, oligomeri e fotoiniziatori. I produttori di resine per la stampa 3D possono inoltre personalizzare le formulazioni al fine di ottenere proprietà specifiche come la resistenza, la flessibilità o la trasparenza.
Tali resine sono disponibili in forma liquida e vengono in genere depositate nella vasca di una stampante 3D a fotopolimerizzazione. Un’eccezione è rappresentata dal processo PolyJet di Stratasys, che getta il materiale su una piattaforma di costruzione prima di polimerizzarlo.
I compositi per la stampa 3D sono, per la maggior parte, termoplastici rinforzati con materiali rigidi come la fibra di carbonio, la fibra di vetro o il kevlar. Il materiale di rinforzo può essere “tagliato”, con fibre orientate in direzioni casuali, o “continuo”, con fibre orientate in un’unica direzione e quindi in grado di garantire una maggiore resistenza. I polimeri di base più comuni per i compositi sono il nylon e l’ABS.
La maggior parte dei compositi viene prodotta sotto forma di filamento per la stampa 3D a estrusione, tuttavia le macchine SLS sono in grado di lavorare anche polveri composite “caricate”. Data la loro natura abrasiva, i filamenti compositi richiedono l’impiego di ugelli di stampa temprati. La società innovatrice in materia di stampa 3D a metallo Desktop Metal ha sviluppato una tecnologia di stampa di compositi che deposita fibre continue da un ugello secondario, realizzando così parti ad alta resistenza.
Altri materiali stampabili in 3D destinati alle varie tecnologie sono l’argilla, le ceramiche tecniche come l’allumina e la zirconia, il gesso, la cera, il silicone, la carta e i materiali commestibili.
Le parti stampate in 3D necessitano generalmente di una fase di post-processing prima di essere pronte per l’uso. Quest’ultima può comportare il taglio e la finitura manuali, anche se le stazioni di post-processing automatizzate per la stampa 3D stanno diventando sempre più diffuse nella manifattura additiva industriale.
Gran parte dei processi di stampa 3D prevede l’impiego di strutture di supporto temporanee per stampare sezioni sporgenti di un pezzo ed evitarne il collasso. Tali strutture possono essere realizzate con lo stesso materiale della parte o con un materiale diverso.
Le strutture di supporto vengono poi rimosse dopo la stampa. Per farlo, si può ricorrere a strumenti manuali come una sega a nastro (per parti in metallo) o un cutter (per parti in plastica), seguiti da una levigatura e da una lucidatura per eliminare le imperfezioni dovute alla rimozione del supporto. Alcune stampanti FDM utilizzano un secondo estrusore per stampare materiali speciali per la struttura di supporto, che possono essere “a strappo” (quindi facili da staccare) o addirittura solubili in acqua. In quest’ultimo caso, le parti possono essere risciacquate o poste in un bagno a ultrasuoni al fine di rimuovere il materiale di supporto.
Alcuni processi di stampa 3D producono parti “grezze” o che richiedono ulteriori trattamenti per migliorare le proprietà materiali. Questi passaggi di post-processing vengono generalmente eseguiti attraverso macchinari a sé stanti, come forni o stazioni di debinding.
Nel caso del binder jetting, il legante adesivo deve essere rimosso dai pezzi dopo la stampa tramite un trattamento termico o chimico, seguito da una sinterizzazione finalizzata a ridurre la porosità. I processi metallici come il DMLS possono utilizzare trattamenti termici speciali come la hot isostatic pressing (HIP) per ridurre la porosità e aumentare la resistenza, soprattutto per componenti particolari e critici per la sicurezza. I pezzi realizzati con la fotopolimerizzazione in vasca possono essere sottoposti a post-curing per aumentare la resistenza.
Processi come l’estrusione di materiale e il DED presentano finiture superficiali grezze e poco adatte alla maggior parte delle applicazioni finali. Questo inconveniente può essere risolto con trattamenti di finitura superficiale applicati manualmente o con strumentazioni specifiche. Le tecniche comprendono la levigatura, la sabbiatura abrasiva e i trattamenti chimici come il trattamento con vapori di acetone o la levigatura a vapore per le parti termoplastiche. I pezzi possono anche essere verniciati con spruzzatura o sottoposti a tintura.
I pezzi in metallo possono essere sottoposti invece al post-processing tramite una macchina CNC in modo da rispettare rigide tolleranze o aggiungere caratteristiche standard come fori e filettature.
In genere, la stampa 3D richiede almeno due tipologie di software. Per ogni categoria, sono disponibili svariate applicazioni gratuite.
Benché inizialmente sviluppata e commercializzata come tecnologia di prototipazione, la stampa 3D, o manifattura additiva, offre oggi una gamma più ampia di applicazioni. Inoltre, alcune stampanti 3D di fascia alta sono state concepite appositamente per fornire qualità e rendimento a livello di produzione.
La stampa 3D, definita in alcuni casi “prototipazione rapida”, è in effetti un valido processo di prototipazione grazie ai suoi bassi costi di avviamento, all’assenza di vincoli di tooling e ai brevi tempi di esecuzione. Indipendentemente dai costi di progettazione, il costo unitario di una parte stampata in 3D non varia molto in base al volume.
L’economicità della stampa 3D in volumi ridotti consente ai reparti di ricerca e sviluppo di iterare diversi progetti su una gamma di materiali. I tempi di realizzazione risultano eccezionalmente brevi rispetto a processi come lo stampaggio a iniezione o la fusione di metalli, in cui la produzione di appositi strumenti prolunga i tempi di realizzazione di giorni o settimane. Ci sono inoltre stampanti 3D che possono essere utilizzate in ambienti non industriali, semplificando la prototipazione in-house.
Le aziende che si occupano di manifattura additiva a livello industriale commercializzano sempre più spesso i propri hardware come soluzioni di produzione praticabili. Man mano che i legislatori del settore acquisiscono familiarità con le parti stampate in 3D, aumentano anche le possibilità di utilizzo finale.
Sebbene la stampa 3D di grandi volumi sia più lenta rispetto alle tecnologie di produzione di massa tradizionali, come lo stampaggio, vi sono diversi fattori che stanno contribuendo a migliorarne la praticabilità; tra questi spiccano:
Le parti destinate alla produzione sono spesso realizzate con materiali per stampa 3D di qualità superiore, come i tecnopolimeri o le leghe metalliche ad alta resistenza.
La stampa 3D può essere utilizzata anche a supporto di altre tecnologie produttive attraverso la produzione di strumenti ausiliari come maschere e strutture di fissaggio, spesso impiegando materiali termoplastici ad alte prestazioni. Un’altra area di sviluppo è quella degli strumenti di produzione stampati in 3D: in genere, gli stampi in metallo realizzati con questa tecnologia hanno una durata di circa 100 cicli nello stampaggio a iniezione. Anche i cosiddetti utensili di presa (end-of-arm tooling) e gli stampi di formatura possono essere stampati in 3D. La fotopolimerizzazione in vasca (e in misura minore l’estrusione di materiale) è da tempo utilizzata per stampare pattern monouso per la microfusione in settori come la gioielleria, mentre il binder jetting può essere utilizzato per realizzare nuclei di stampa per il sand casting.
La stampa 3D è una tecnologia di manifattura digitale che garantisce tempi di realizzazione brevi e costi contenuti per piccoli quantitativi. Ciò la rende adatta alla creazione di componenti on-demand, come ricambi e riparazioni per autoveicoli, parti per macchinari fuori produzione o obsoleti, progetti personalizzati dall’utente e impianti medici o apparecchi dentali specifici per il paziente. Tali parti possono essere stampate in base alle necessità anziché in lotti. In più la stampa 3D on-demand può essere combinata con la digitalizzazione dell’inventario al fine di ridurre i costi di immagazzinamento e deposito.
La stampa 3D viene utilizzata in una vasta gamma di settori, da quello aeronautico a quello sanitario. Di seguito si elencano alcuni dei principali.
In effetti, la stampa 3D ha poco in comune con le tecnologie di produzione tradizionali, un fatto che presenta sia vantaggi che svantaggi. Se da un lato la tecnologia può aprire opportunità significative in alcuni settori, dall’altro è ancora inadatta per alcune applicazioni.
La soluzione più rapida per iniziare a stampare in 3D consiste nel rivolgersi a un service bureau dedicato o a un partner di produzione. Tuttavia, per le PMI e le grandi aziende sta diventando sempre più conveniente investire in una propria apparecchiatura di stampa 3D per la produzione in-house.
1. Versatilità e facilità d’uso
Malgrado l’ampia gamma di tecnologie di stampa 3D disponibili, la maggior parte dei neofiti opta per l’estrusione di materiali (Fused deposition modeling o FDM) per via del costo contenuto delle macchine, dell’ampia gamma di materiali, della base di utenti consolidata in grado di fornire assistenza e soluzioni nonché della relativa facilità d’uso.
Le macchine per estrusione di livello consumer costano infatti meno di 1.000 dollari e i sistemi di alta qualità di livello professionale sono disponibili a meno di 10.000 dollari. In più, per la maggior parte, possono essere utilizzati in ambienti non di laboratorio.
L’estrusione di materiale è una tecnologia ideale per prototipi, parti finali in plastica resistenti e durevoli, parti flessibili, parti composite, maschere e strutture di fissaggio.
2. Particolari dettagliati
La tecnologia successiva più adatta agli utenti alle prime armi è la fotopolimerizzazione in vasca (VAT photopolymerization), con macchine disponibili in una fascia di prezzo paragonabile a quella dell’estrusione di materiale. Le stampanti 3D di questa categoria sono generalmente in grado di produrre parti con un’eccellente finitura superficiale e caratteristiche dettagliate.
Inoltre, alcune tecnologie a resina, in particolare DLP e LCD, sono molto più veloci dell’estrusione di materiale, in quanto sono in grado di formare interi strati in una sola volta. Gli svantaggi, tuttavia, sono rappresentati da pezzi più deboli e da requisiti più complessi per la gestione del materiale e della fase di post-processing.
La fotopolimerizzazione in vasca è ideale per la stampa di modelli dettagliati o in miniatura, prototipi visivi, parti traslucide, dispositivi dentali e pattern per gioielli.
3. Processi avanzati per utenti di alto livello
Gli ingegneri più esperti e le aziende più grandi possono invece trarre vantaggio da altre tecnologie di stampa 3D, tra cui la fusione a letto di polvere (stampanti 3D SLS o sistemi di manifattura additiva a metallo). Benché tali tecnologie presentino una soglia di accesso più elevata, è possibile realizzare parti di alta qualità e produrle in scala.
Il DMLS è adatto a una serie di parti metalliche per uso finale, mentre il binder jetting è ideale per parti colorate e nuclei per il sand casting. Un processo come il Multi Jet Fusion di HP può essere adatto per pezzi con dettagli ultra-fini prodotti in lotti di piccole o medie dimensioni.
È vero che le tecnologie di stampa 3D consigliate per i neofiti, come l’estrusione di materiale e la fotopolimerizzazione in vasca, possono essere utilizzate in uno spazio di lavoro non industriale, ma è certamente utile allestire uno spazio di lavoro dedicato.
Nel predisporre un’area di lavoro per la stampante 3D, è bene tenere presente quanto segue:
Il primo passo per iniziare a stampare in 3D è rappresentato da altri investimenti oltre alla stampante 3D. L’esborso più significativo riguarda i materiali, che devono essere reintegrati in base alla frequenza di stampa. Per l’estrusione dei materiali, i polimeri di base sono disponibili a circa 30 dollari al chilogrammo, anche se i materiali ingegneristici di alta qualità possono costare almeno 10 volte tanto. La resina liquida è disponibile a un prezzo simile o leggermente superiore, anche se il costo totale per pezzo dipende da fattori quali la densità, lo spreco e le strutture di supporto.
Il costo del software dipende dal livello di sofisticazione richiesto e dalle applicazioni specifiche. Tuttavia, molti utenti di stampanti 3D riescono a utilizzare esclusivamente software gratuiti. Le soluzioni di progettazione 3D gratuite per la stampa 3D includono Tinkercad e FreeCAD, mentre gli slicer più popolari come Cura e PrusaSlicer sono anch’essi gratuiti. Le applicazioni professionali e industriali (per la progettazione, lo slicing e la gestione del parco macchine) sono generalmente vendute in abbonamento o con un modello di prezzo SaaS (software-as-a-service).
Per stampare in 3D in proprio occorrono inoltre strumenti e altri componenti con le svariate tecnologie che comportano spese diverse. Per l’estrusione di materiale ad esempio, si consiglia di iniziare con quanto segue:
Gli esempi di parti stampate in 3D sono innumerevoli e riguardano una vasta gamma di settori. Qui di seguito illustriamo tre casi significativi in cui sono state impiegate diverse tecnologie di stampa.
Align Technology, situata in Arizona, ha cambiato il mondo dell’ortodonzia con il suo programma di allineatori trasparenti Invisalign, consentendo agli utilizzatori di raddrizzare i denti senza apparecchi. La stampa 3D con fotopolimerizzazione in vasca è il fulcro della sua attività, dal momento che nei suoi stabilimenti vengono stampati circa mezzo milione di pezzi al giorno.
Il colosso dentale utilizzava in un primo momento la stampa 3D per la realizzazione di un pattern (un modello dei denti del paziente), da cui si ricavava un processo di termoformatura per la realizzazione degli allineatori trasparenti. In particolare aveva collaborato con l’azienda di stampa SLA 3D Systems. All’inizio del 2024, Align Technology ha acquistato la società di stampa 3D Cubicure per poter stampare direttamente i suoi allineatori senza ricorrere alla termoformatura.
Diverse aziende di calzature si sono avvalse della stampa 3D per migliorare la qualità delle loro scarpe da running. Dal 2017, Adidas utilizza questa tecnologia per realizzare intersuole flessibili e ad alte prestazioni con modelli di infill complessi. Attualmente, l’azienda collabora con Carbon per sviluppare la sua linea di scarpe “4D”.
Un altro marchio attivo nell’evoluzione di questa tecnologia applicata alle calzature è New Balance, che ha collaborato con Formlabs per la stampa di intersuole.
La manifattura additiva a metallo sta assumendo un ruolo sempre più importante anche nell’industria aerospaziale. L’azienda californiana Relativity Space è un pioniere in questo campo e utilizza il suo sistema di stampa 3D a filo metallico Stargate per fabbricare parti metalliche di dimensioni ultra elevate. L’azienda sta attualmente sviluppando il suo veicolo di lancio Terran R, il cui debutto è previsto per il 2026 e che sarà dotato di un totale di 13 motori a razzo Aeon R stampati in 3D.
Tra le altre stampanti 3D utilizzate per i componenti dei motori a razzo vi sono le macchine DMLS dell’azienda AMCM, consociata di EOS, e i sistemi PBF della californiana Velo3D.
Il potenziale della stampa 3D è in grado di generare valore per molte aziende in diversi settori. I reparti di R&D possono beneficiare dalle sue capacità di prototipazione rapida, realizzando prototipi funzionanti in poche ore e con una maggiore libertà geometrica rispetto ad altri processi rapidi come la lavorazione CNC. Inoltre, i sistemi di fascia alta e le soluzioni di integrazione nelle aziende hanno reso la stampa 3D un’opzione praticabile per la produzione di pezzi su larga scala. Numerosi fornitori leader del settore hardware si stanno concentrando su quest’area della stampa 3D, il che significa che i sistemi di livello industriale aumenteranno in qualità e produttività nel corso del prossimo decennio, man mano che altri materiali e applicazioni si qualificheranno per tale processo.
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